Vedi alla voce S come salutare /sa·lu·tà·re/
(verbo, transitivo / riflessivo) Rivolgere a una persona un’espressione o un gesto amichevole o di augurio incontrandola o accomiatandosi
Porgere la mano, prima di tutto, ma anche un abbraccio o un bacio: gesti fatti a volte per sola educazione, ma che il più delle volte esprimono la felicità, la gioia di incontrare o rivedere una persona.
Il nostro modo di salutare è cambiato nell’epoca del covid. Nemmeno il sorriso è più percepibile, celato dalla mascherina. Adesso per dire buongiorno, bentrovato ci affidiamo a un gesto della testa, allo sfiorare dei gomiti.
E anche il “passare a salutare” qualcuno, per goderne la vicinanza, scambiare due parole, o semplicemente dare conforto è diventato un gesto normato e regolamentato. In bilico tra il si può e non si può, a seconda di inesplicabili confini geografici e/o relazionali.
Salutare, quando diventa aggettivo, prende un ulteriore significato ancora strettamente legato a questo momento: «che dà salute». E in questo periodo ha coinvolto gli eroi di ieri: medici, infermieri, personale sanitario, addetti alle pulizie. Eroi che oggi già cominciano a uscire dalla retorica della comunicazione.
Salutari dovrebbero essere anche le scelte compiute da chi ha in mano la gestione delle nostre comunità.
Dovrebbero. Perché si ha avuto molto spesso l’impressione che comunicati, conferenze stampa, interviste e atti amministrativi siano stati dettati più dall’esigenza di portare in primo piano l’Io, anziché la tutela e la cura della comunità chiamati ad amministrare.
Comunicare ha assunto un significato preciso, sebbene distorto. Non più rendere comune , ma soltanto far conoscere, far sapere di sé.
E in tutto questo, chiedere scusa, non è più ammesso.
Neppure di fronte l’evidenza